Un’istoria Tonaresa

Il campanaccio, un manufatto straordinario, ventisette passaggi su frammenti di lamiera di svariate misure tagliati ad arte. Completamente fatto a mano incrocia in maniera trasversale ambienti, culture, territori e situazioni lontanissime tra loro. Entrano in ballo se si parla dei carnevali barbaricini, ma anche se si fa riferimento alle storie di banditismo e dell’abigeato.

Sono strumenti indispensabili presso il mondo agropastorale e identificano contemporaneamente differenti località soltanto a sentirne il suono o l’accordatura.

Anche la loro foggia parla di diversi territori e di diverse genti, e non è raro ormai incontrarne di meravigliosi negli showroom di famosi stilisti, o diventare opere d’arte in mano a designers e creativi d’ogni disciplina.

Li incontro per la prima volta una decina di anni fa nella bottega di Ignazio Floris a Tonara, la fascinazione e la conquista sono immediati. Passo a conoscere anche la bottega Ziu Toninu e Carlo Sulis e poi quella di Augusto e Stefano Sulis sempre in paese, poco distanti. Un altro elemento per me irresistibile che mi ha spinto a raccontarla questa storia: tre nuclei familiari, tre padri e tre figli a tramandarsi un’arte, un mestiere, un sapere che rischia di andare perduto.

Un paese Tonara, che di saperi ne può testimoniare diversi, fra i più eccellenti dell’intera isola: i suoi torronai, gli ambulanti, i taglialegna, i suoi falegnami e le officine dei sonazzos che sono le ultime dell’intera isola. Non si poteva non raccontarla questa storia, questa testimonianza di amicizia e di saperi.

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